3/17/08

3/4/08

" Un atto di umanità in una società divisa in classi "



























"... Ecco perché noi sosteniamo che l'atto di giustizia rivoluzionaria esercitato dalle Brigate Rosse nei confronti del criminale politico Aldo Moro è il più alto atto di umanità possibile per i proletari comunisti e rivoluzionari, in questa società divisa in classi "


Con queste parole Renato Curcio, fondatore e leader delle Brigate Rosse, rivendicò il sequestro e l'omicidio di Aldo Moro durante il maxi processo di Torino al nucleo storico delle Br.

Il 16 marzo cadono trent'anni esatti dalla strage di Via Fani. Si sentirà parlare tanto di questa vicenda che è stata lo spartiacque della recente storia italiana. Via Fani e i 55 giorni che ne seguirono, insieme alla Tangentopoli dei primi anni novanta, sono stati i due eventi più importanti e decisivi dell'intera storia repubblicana.

Quella che segue è una mia personalissima ricostruzione di quella mattina del 16 marzo 1978. Una ricostruzione che prende spunto da numerose inchieste storiche e giornalistiche e, soprattutto, dalle autobiografie dei brigatisti che parteciparono all'agguato. L'idea di raccontare la cosa dal punto di vista di un " carnefice " non vuole assolutamente essere un apologia del brigatismo, e meno che mai legittimare l'operato delle Br in quella mattina di trent'anni fa. Mi dispiacerebbe se qualcuno lo pensasse, quindi ci tengo a sgombrare il campo da qualsiasi possibile fraintendimento.



Roma 16 marzo 1978, Incrocio Via Fani - Via Stresa


Mi sveglio alle sette. Mi sveglio si fa per dire, non ho praticamente
chiuso occhio, è il giorno dell'attacco al cuore dello stato, l'inizio
della nostra " campagna di primavera ".
Ho lo stomaco chiuso, non riesco
a fare colazione, butto giu solo un caffè amaro, senza zucchero.
Alle otto passano a prendermi.
Arrivati all'angolo fra via Fani e via Stresa ci infiliamo l'impermeabile con le mostrine, le divise da aviere che abbiamo scelto di indossare per dare meno nell'occhio. Sotto gli impermeabili nascondiamo le armi, abbiamo uno Stern, un Fna, pistole mitragliattrici calibro 9 parabellum, Smith e Wesson calibro 9, Beretta 7,65
e una Tz 45.

Siamo nove in tutto, ma il gruppo di fuoco è composto solo da me, Mario, Valerio, Franco, Prospero e Raffaele. Ieri notte siamo andati a bucare le gomme al furgone del fioraio che solitamente staziona all'incrocio fra via Fani e via Stresa, l'abbiamo fatto per impedirgli di recarsi questa mattina al lavoro e avere la spiacevole incombenza di trovarsi nel bel mezzo di una sparatoria.

Abbiamo messo altri compagni a bloccare il traffico nella parte bassa e
in quella alta di via Fani, mentre Rita ha il compito di segnalare l'arrivo
delle auto di Moro da via Trionfale. Non appena scorge le auto in arrivo
deve agitare il mazzo di fiori che tiene in mano in modo da permettere a
Mario di immettersi sulla via in tempo per ostruire il passaggio al veicolo
della scorta di Moro. E' tutto pronto.

E' tutto pronto...

La tensione è palpabile, nessuno parla, non c'è niente da dire, abbiamo
tutti ben chiaro qual'è il nostro compito nell'operazione. Qualcuno di noi
fa finta di leggere il giornale, ma non possiamo evitare di tenere gli
occhi puntati su via Fani, su quel mazzo di fiori in lontananza.
E' una giornata primaverile. Primaverile come sa essere solo a Roma, ma non abbiamo tempo per apprezzarla, siamo concentratissimi. Siamo le Brigate Rosse, l'avanguardia rivoluzionaria per il comunismo, e questa è la nostra azione più importante.
Non c'è spazio per l'improvvisazione, non c'è spazio per niente che non sia qui e ora. Non c'è spazio oltre via Mario Fani.

Adrenalina...

Attesa snervante, Raffaele mi dice che ha dovuto bersi un cognacchino
a stomaco vuoto per provare a sciogliere un po la tensione, ma ci vorrebbe ben altro che un cognacchino...i fiori...Rita sta agitando il mazzo di fiori...è il momento...è il momento...è il momento...vedo il mazzo di fiori che si agita al rallentatore, o almeno io lo percepisco così...ho il cuore in gola..ma non c'è tempo per essere emotivi, non c'è tempo di pensare...c'è tempo solo per quello che devo fare.

Le macchine sono due, una Fiat 130 blu dove dietro siede Moro e davanti due guardie,
e un Alfetta bianca di scorta che viaggia dietro la 130 con altre tre guardie a bordo. Le vediamo scendere lentamente da via Fani per dirigersi verso l'incrocio con via Stresa. Mario a bordo della Fiat 128 bianca con targa diplomatica si immette velocemente nella carreggiata, le macchine di Moro sono quasi davanti a noi, Mario frena bruscamente allo stop... L'autista di Moro non riesce a evitare il tamponamento a catena, anche perchè le luci di stop della 128 che guida Mario non funzionano. Ora! ORA!

Sbuchiamo tutti e quattro da dietro la siepe del palazzo di fronte e iniziamo a sparare. I movimenti sono automatici, pensati e ripensati centinaia di volte. Partono le raffiche di mitra. Gli agenti chiusi nella macchina di Moro sono i primi a cadere senza neanche avere il tempo di capire bene quello che sta succedendo.
Purtroppo accade quello che temevamo: nonostante le armi siano state controllate minuziosamente e oliate a dovere la sera prima si inceppano a turno più o meno tutte, il volume di fuoco diminuisce ma non impedisce fortunatamente di portare a termine l'azione.
Avevamo previsto un eventualità simile e ci siamo organizzati con armi di riserva: pistole. A quel punto della sparatoria vanno comunque bene.
Con la coda dell'occhio riesco a vedere una guardia che, per quanto ferita, riesce a tirarsi fuori dall'Alfetta e a sparare un paio di colpi verso di noi. I colpi non vanno a segno, prendo la mira e faccio fuoco, l'agente cade a terra.

Continuiamo a sparare ancora. L'unico rumore è quello delle raffiche, dei vetri dei finestrini che cedono di schianto e della lamiera forata dai proiettili, nient'altro.
L'azione dura dai due ai tre minuti, ma questo io l'ho saputo dopo. Sul momento non è quantificabile lo scorrere del tempo, in quella condizione non è possibile stabilire la durata effettiva dell'agguato.
L'incrocio tra via Fani e via Stresa è avvolto in una bolla spazio temporale. Smettiamo di sparare, non c'è più bisogno. Ora è solo silenzio, un silenzio che dura pochi secondi o un eternità.
Un silenzio sospeso. Il tempo è fermo. Tutto è fermo. Sembra quasi che si fermino anche le particelle di polvere pirica in sospensione nell'aria. Ora, per un attimo o per un eternità, esiste solo quest'incrocio, questo scorcio di strada,
queste macchine crivellate dal piombo, questo vetro per terra.

Faccio il giro della 130 blu dove intanto Mario sta prelevando illeso Aldo Moro. Illeso. Questa è la " geometrica potenza ": illeso.

Mi avvicino all'Alfetta per controllare che tutto sia a posto, ossia che nessuno della scorta sia sopravvissuto. Bisogna fare in fretta, il piano di fuga è definito nei minimi dettagli ma non possiamo permetterci di trascurare neanche una manciata di secondi.
Mentre mi avvicino all'Alfetta vedo la guardia che è riuscita a uscire dalla macchina e a sparare qualche colpo. E' in terra, morto, le chiazze di sangue delle ferite si allargano sulla sua camicia scura. Porta un impermeabile chiaro, lungo.
E' caduto sull'asfalto con le braccia aperte, come un Cristo sulla croce. L'impermeabile aperto e spiegazzato lo fa sembrare un enorme uccello piombato giu dal cielo, schiantato al suolo e trovatosi qui per caso.
Mi avvicino ancora. Lo guardo. Questo non è un uomo. Questo è un nemico di classe. Questo è un simbolo da abbattere. Questo non è un uomo.

C'è qualcosa che è caduto dalle tasche del suo impermeabile, guardo meglio. E' un tubetto di Vix Sinex spray nasale nella sua caratteristica confezione verde.
Un tubetto di Vix Sinex...lo uso anch'io per alleviare la sinusite...è un attimo, un frammento di consapevolezza si insinua nelle pieghe della mia mente, risale veloce le sinapsi, da una tregua istantanea e fugace all'adrenalina.
E' un attimo, ma l'eco di quest'attimo mi rimbomberà dentro per tutto il tempo che mi resta da vivere.
Lo so. Acquisisco in quel momento la granitica certezza che quell'eco non finirà mai di esplodermi dentro.

Questo è un uomo. E' un uomo.

Nella mia testa continua il silenzio. Gli occhi fissi su un tubetto di Vix Sinex, è strano, non guardo il corpo a terra senza vita, guardo quel tubetto. Il silenzio assorbe tutto, è per questo che la voce di Mario che mi chiama mi arriva da un altro tempo e da un altra vita e, sulle prime, neanche riesco a sentirla. Si avvicina, mi grida che dobbiamo andar via, immediatamente.

Mi riscuoto, corro verso la macchina, salto sopra e partiamo sgommando.

Quello era un uomo, cazzo. Quello era un uomo.

3/1/08

Frammenti megalomani...e narcisisti.






















Dalla Fossa delle Marianne, 10.911 metri sotto il livello del mare

Colonna sonora: " The great gig in the sky " Pink Floyd

Copernico ha cacciato la terra dal centro dell'universo, Darwin ci ha tolto dalla testa la corona della creazione, Freud ha mostrato che la ragione umana naufraga nell'inconscio.

Dissolvenza

Gli Yrr usano le tue parole, le tue espressioni, persino l'intercalare...e neanche se ne rendono conto...cercano parole altisonanti che non usano nel linguaggio comune, se ne appropriano per " stare sul pezzo ", ma continuano a non appartenergli. Loro continuano a non appartenersi.

La natura è obiettiva e ricca di varietà! S'impoverisce attraverso le lenti dei preconcetti, perchè noi giudichiamo secondo ciò che approviamo o non approviamo.
La somma di tutte le impressioni può dare varietà, se ci dobbiamo sempre accordare su modelli come " il gatto " o " il colore giallo " ?
Senza dubbio c'è qualcosa di fantastico nel modo in cui il cervello umano strappa alla ricchezza della realtà questo mondo medio. E' un comodo trucco per rendere possibile la comprensione dell'impossibile, ma il prezzo è l'astrazione. Ciò che rimane è un mondo idealizzato, in cui milioni di donne cercano di somigliare a dieci top model, ci sono famiglie che hanno un bambino virgola due, i cinesi arrivano in media a sessantatre anni e a un metro e settanta di altezza. Siamo così ossessionati dalla norma da non renderci più conto che la normalità è nell'anormalità, nella divergenza. La storia della statistica è la storia dell'incomprensione. Ci ha aiutato ad avere uno sguardo d'insieme, ma nega le varianti. Ci ha reso estraneo il mondo.



...e la paura è comune a tutti, e tutti vanno in tilt se l'immagine di loro, quella che torna dall'esterno, non corrisponde a quella che loro hanno a loro volta mandato all'esterno. Si forma una discrepanza, più o meno percepibile, l'ingranaggio si inceppa. Un occhio attento e allenato lo vede, un intuito capace di ordinare e semplificare lo sente. Come gli animali sentono l'odore della paura. Un occhio attento coglie i movimenti tellurici della personalità di un Yrr, un istinto che ha familiarità col dolore avverte i movimenti subconsci, può non riuscire a decifrarli, ma il movimento non sfugge. C'è un unico denominatore comune a tutti, dai grandi sistemi ai singoli individui.

Eppure...

Non c'è spazio per le varianti nei calcoli della tavola pitagorica. La velocità della luce rimane sempre la velocità della luce. Le formule matematiche sono immutabili finchè descrivono lo stesso spazio fisico. La matematica non permette valutazioni. Le formule non vivono in una caverna o su un albero, non si possono accarezzare, non digrignano i denti se ci si avvicina troppo. Non c'è una legge della gravitazione che sia la media di molte altre, ne esiste una sola. Il modo di etichettare il mondo segue le peculiarità della storia della cultura e ogni cultura vede il mondo in maniera diversa. Gli Inuit non hanno un unica parola per la neve; identificano centinaia di tipi di neve. Alcuni popoli non possiedono definizioni per i colori.


E, quelle degli Yrr, sono psicologie fondamentalmente semplici, non è il loro substrato che interessa. Mascherano la scarsa dote col pretesto della leggerezza e del disimpegno, a una distanza ravvicinata è possibile osservare la circonferenza dell'iride che varia a seconda del loro stato emotivo del momento. Il loro confrontarsi a ogni costo è atavico e tremendamente umano. Certe carenze e paure sono spie costantemente illuminate. La verità viene fuori in frammenti di discorsi in cui il livello di attenzione cala e le difese si abbassano. Chi osseva memorizza e arricchisce uno schema di partenza. Chi osserva, se lo fa veramente, se non è distratto, conosce il peso specifico di ogni parola. Trova una mappa caratteriale nell'ordine in cui le parole si dispongono. Conosce con il corpo prima che con la mente i rapporti di causa ed effetto nei singoli comportamenti, nelle reazioni agli eventi. Chi osserva possiede quei famosi occhiali a raggi X che venivano un tempo pubblicizzati in alcuni giornali e che promettevano il miraggio di vedere le persone nude. Chi osserva si vede nudo, e vede nudi gli altri. Chi osserva sa, prima ancora di saperlo veramente, che l'infanzia è e resta la condizione base di ogni Yrr. Chi osserva è consapevole dell'esistenza di un inconscio collettivo, e intuisce la misura in cui può influire sull'inconscio individuale. Non c'è niente da imparare, eravamo gia tutto prima di esistere in un corpo, sapevamo gia tutto prima di avere un nome. Si tratta solo di ricordare.

Per comprendere il mondo devi scoprire un altro tempo. Dovresti ricordare, ma non puoi. L'uomo è miope da due milioni di anni. L' Homo Sapiens ha trascorso la maggior parte della propria evoluzione a cacciare e a raccogliere. In quel modo ha formato il suo cervello così come è oggi. Per i nostri antenati il futuro è sempre stato " l'immediatamente dopo ". Quello che andava oltre era confuso al pari di quello che era rimasto indietro nel tempo. Noi viviamo nel presente e siamo interessati prima di tutto alla riproduzione. Le peggiori catastrofi vengono dimenticate o al massimo trovano un posto nella mitologia. La capacità di rimuovere è stata un dono dell'evoluzione, ma poi è diventata la nostra condanna. Ancora oggi il nostro spirito non riesce a tracciare un orizzonte temporale che vada oltre qualche anno nel passato o nel futuro. Bastano poche generazioni e noi rimuoviamo, ignoriamo, dimentichiamo. Non siamo in grado di fissare il nostro passato e di trarne insegnamenti, siamo incapaci di osservare il futuro. Gli uomini non riescono a vedere il tutto e non sanno dov'è il loro posto. Noi non condividiamo il ricordo del mondo.

Un Yrr generalizza, taglia con l'accetta, sentenzia utilizzando esclusivamente se stesso come metro di misura. Canta odi all'appiattimento e nuota in branco. Invoca democrazia più per incapacità di una posizione forte che per consapevolezza reale del concetto di democrazia. L'importante è che il posto sia comodo e ci sia sempre la possibilità di affacciarsi al balcone e vedere chi passa, controllare chi ha la testa più grande e a seconda dei casi rincuorarsi o deprimersi.

E io voglio bene a questa razza Yrr che adora gli orologi e non conosce il tempo.

( frammenti da " Il quinto giorno " )