6/20/08

No trips for cats





Boh...volevo scrivere un post...ma niente di che, giusto perchè non ci si perda di vista...ma non so, in realtà non mi interessa parlare di niente in particolare, e poi c'è un altro fatto che credo capiti più o meno a chiunque scrive una qualsiasi cosa sapendo che diventerà pubblica, e questo al di là dell'eventuale pubblico. Provo a spiegarmi: succede che tu che stai scrivendo, anche se non vorresti farlo, focalizzi la tua attenzione su tizio o caio che sai che leggeranno quanto hai scritto, ripeto non vorresti farlo ma la cosa succede pressochè in automatico, e focalizzando la tua attenzione su una persona piuttosto che su un altra finisci con l'essere condizionato dal pensiero di come questa persona potrebbe recepire o interpretare lo scritto. E' un po il discorso del " lettore ideale ", ma un lettore ideale non esiste e chiunque scriva qualcosa non dovrebbe mai mettersi il problema di chi legge, sarebbe utile pensare di scrivere solo per se stessi, liberi dal vincolo dell'interpretazione altrui.

A volte mi cadono le braccia...spesso mi cadono le braccia anzi...non c'è tanto da avere fiducia nel genere umano...parli per ore con una persona presumendo che questa persona capisca quello che dici secondo il significato che tu gli dai, succede a tutti, poi questa persona dice una frase, una sola e unica frase, sufficiente però a farti capire che non ha afferrato mezza parola di quanto hai detto, anzi ne ha stravolto completamente il senso...cosa fai inizi a odiare questa persona in virtù delle sue abissali carenze? O in modo molto democratico consideri che molto probabilmente sei tu a non essere stato sufficientemente chiaro? Il mondo è pieno di gente che pur parlando la stessa lingua non arriva a capirsi, alla stessa parola vengono attribuiti significati diversi a seconda di chi la utilizza...dove cazzo vogliamo andare partendo da questi presupposti?

Per non parlare dei piani di comprensione...io a questa cosa dei piani di comprensione do un importanza enorme perchè sono fermamente convinto che ce l'abbia. I dialoghi tra le persone si svolgono prevalentemente su piani di comprensione differenti, la differenza è data soprattutto dalla qualità culturale dei soggetti dialoganti, attenzione ho detto qualità e non quantità, non importa infatti se uno ha una cultura cosiddetta " enciclopedica ", non è un problema di accumulo nozioni che vi fa vispi e intelligenti, bensì la capacità di creare connessioni tra le vostre conoscenze al punto di poter rendere conto della propria opinione in qualsiasi momento, senza fare riferimento a concetti rimasticati da altri.

E' inutile, spesso non ci capiamo, questo è un dramma molto più grande di quanto si pensi. Ciò che per alcuni è ironia ad altri non dice niente, ciò che pensate sia un pensiero profondo per altri sarà una solenne boiata...persino quello che sto scrivendo ora per alcuni sarà chiaro e lineare e ad altri risulterà nella migliore delle ipotesi inutile. E inutile lo è, per carità, però ha un senso, eccome se ce l'ha.

Partendo da questi presupposti si sviluppa una forma sottile di intolleranza, che non è espressa nè con cattiveria e nè con presunzione però di fatto è presente: io con certe persone non posso parlare, se per parlare si intende comunicare a un certo livello di profondità, dal momento che " passami il sale " grazie a dio riesco ancora ancora a dirlo a tutti. Non posso parlare perchè non abbiamo fondamentalmente niente da dirci, un po perchè siamo cresciuti e ci siamo sviluppati sulla base di esperienze talmente diverse da rendere impossibile la ricerca di un terreno di comprensione comune, una sorta di vocabolario condiviso, e un po perchè la nostra sfera di interessi è talmente distante da precludere qualsiasi empatia comunicativa.

Non posso parlare con chi non ha mai letto un libro, non posso parlare con chi non si emoziona per la musica, non posso parlare con chi dice che la politica è tutta uguale, non posso parlare con un bigotto o con uno che non perde una puntata di Walker Texas Ranger....se fate due conti, andando per esclusione, si arriva gia a qualche milionata di persone...è un dramma, non c'è un cazzo da ridere...il bombardamento mediatico quotidiano ha raggiunto livelli di intensità tali per cui nessuno sa più un cazzo di niente, nessuno ha più certezze riguardo a niente...da poco un mio amico che è padre di un bimbo di sei anni, affrontando un discorso molto simile a questo, mi ha detto stizzito: " Si ma insomma io come cazzo lo devo educare mio figlio, che cazzo gli insegno? "

Questo è il punto, in questa domanda, fatta con rabbia e con una venatura di disperazione, sta tutto il senso di questo grande smarrimento...uff, lasciatemi stare và...fa caldo...

6/16/08

Vent'anni fa...( ritratto dell'artista da giovane...con conseguenze finali pressochè inevitabili...)





Vent'anni fa esatti, alla tenerissima età di 32 anni moriva nella sua casa di Montepulciano Andrea Pazienza, l'ho celebrato in modi diversi tante volte in questo blog, e in qualche modo continuerò a farlo...perchè la pazienza ha un limite, Pazienza no.

Per ricordarlo a vent'anni dalla morte ho deciso di pubblicare un intervista che è uscita stamane nella versione on line de " La Stampa ". L'intervista è a Sergio Staino e mette in luce non tanto l'aspetto artistico di Paz, di cui più che abbondantemente si è discusso, quanto l'aspetto autodistruttivo, a suo modo e purtroppo inscindibile dalla vicenda umana e artistica.

- L'ultima bugia del Paz -

Bologna

Un’overdose di eroina si portò via Andrea Pazienza la notte del 15 giugno di vent’anni fa, nella casa di campagna di Montepulciano dove viveva con la moglie. APaz, come si firmava nei fumetti, aveva solo 32 anni e un talento micidiale sparso a piene mani fra le riviste migliori di quel decennio, da « Linus » al « Male », da « Cannibale » a « Frigidaire », per citarne alcune. Il giorno prima di morire era andato a cercare Sergio Staino nella redazione di « Tango », il supplemento satirico dell’«Unità» diretto dallo stesso Staino, con cui collaborava: « Era stato in Brasile con l’idea di staccarsi dalle maledette storie di pusher che lo assillavano – ricorda oggi Staino – Doveva stare via un mese e invece se ne andò via per tre mesi, così eravamo in pensiero per lui. Tornò da quel viaggio ed era pulito, sembrava un’altra persona. Un giorno mi venne a trovare a Roma, all’Unità, era disperato perché doveva trovare quattro milioni di lire per pagare le tasse arretrate, come mi raccontò piangendo. Non sapevo come aiutarlo, allora gli proposi un contratto per un libro sulle sue storie pubblicate su Tango: lo lasciai lì per andare a trattare la cosa con l’amministrazione del giornale e lui mi riempì la scrivania di disegni di Occhetto… Tornai con due milioni, non avrei mai immaginato che mi stava prendendo per il culo. Il giorno dopo mi chiamano per avvertirmi che era morto ».

Paz aveva compiuto il suo ultimo giro di danza con l’amante più velenosa della sua vita, l’eroina, e ancora oggi il rammarico di Staino è enorme: « Noi abbiamo perso un gigante della storia dell’arte del Novecento, perché Andrea era uno sperimentatore, un inventore di immagini. Forse gli arretrati oltre che col fisco li aveva pure con gli spacciatori ».

L’amicizia fra il fumettista pugliese e il creatore di Bobo nasce all’inizio degli anni Ottanta, alle serate del Club Tenco a Sanremo: « Con Andrea ci siamo trovati uniti da un’affinità di condizioni d’autore, dato che il fumetto e la musica all’epoca erano snobbati dalla cultura ufficiale. Questi del Tenco hanno invitato me, Andrea, Manara, Michele Serra, ci veniva anche Benigni. Paz veniva e disegnavamo, perché al Tenco c’era la giornata musicale e poi tutto il gruppo degli artisti si trovava al ristorante. Andrea innescò dall’inizio un rapporto privilegiato con Guccini: lo disegnava in forme enormi chiamandolo “ Guccione ” e lui si arrabbiava, tanto che una volta erano arrivati a prendersi per la collottola ». Nel 1986 Tango va in edicola, e al direttore Staino viene subito naturale chiamare Paz nella sua squadra di disegnatori: « Facevo questo giornale satirico all’interno dell’” Unità ”, che allora era l’organo del Pci, ma fin dall’inizio, siccome c’era il rischio di essere troppo tenero col mio partito, pensai ad alcuni autori lontani da noi, cioè Vincino, Andrea e Angese. Andrea veniva dal Settantasette bolognese e Vincino, ai tempi del “ Male ”, era stato allontanato dalla Camera da Nilde Iotti ». Col direttore dell’Unità Emanuele Macaluso, Staino stringe un patto che riconosce piena libertà ai vignettisti: « Ho sempre difeso la libertà dei disegnatori, anche se qualche intervento dall’alto ci fu, ma non su Andrea e non per temi politici, c’era invece qualche limitazione per il sesso perché si andava su un giornale generalista ».

Pazienza, che pure proveniva dalle esperienze di satira estrema del « Male », non ha difficoltà: « Non era a disagio, disegnava molto volentieri per Tango. Io sono arrivato tardi a fare satira, “ Bobo ” è dell’81, ed ero un grande ammiratore di questi del Male. La mia stima era tale che nessuno di loro ha avuto invidie o pregiudizi. In certi momenti Andrea mi guardava dall’alto in basso perché non fumavo (erba, ndr) e perché ero un compagno serio che riconduceva tutto a un’analisi politica: c’era in lui l’affettuosità di chi guarda un babbo o un fratello maggiore che non capisce certe cose. Ricordo gli spettacoli di Tango, nei teatri o alle feste dell’Unità: David Riondino cantava e Andrea, che era strepitoso e di una velocità inimmaginabile, disegnava col pennarello in diretta costruendo le immagini a partire dalle parole ». Pazienza doveva avere un ruolo importante, anche se un po’ ingrato, anche nel film diretto da Staino nell’88, « Cavalli si nasce »: « Era la parte di un giovane pittore al servizio di un signore meridionale che si entusiasmava all’idea rivoluzionaria, una vicenda ambientata nel 1830. Alla prima repressione però il personaggio cedeva e denunciava gli altri, un traditore, ma solo per debolezza. Andrea mi serviva per dipingere queste madonne neoclassiche nel film. Erano i giorni in cui aveva cominciato a disegnare Astarte, una storia di un respiro meraviglioso in cui si era buttato a capofitto ». Paz però quel copione ha solo il tempo di leggerlo, poi arriva la notte fatidica del 15 giugno. « Lui è l’artista che ha rappresentato meglio l’inquietudine degli Anni Settanta e Ottanta, col suo Pompeo, il suo Zanardi: i più grandi. Aveva anche il desiderio di fare un film da regista, e secondo me ci sarebbe arrivato ».

6/4/08